UN DRAMMA VISSUTO INSIEME
Ero poco più che un ragazzo (frequentavo gli ultimi anni del liceo classico) quando ebbi il piacere e la fortuna di conoscere Peppino Catte, allora professore in quello stesso istituto, restando colpito dalla sua preparazione e capacità di dialogare con semplicità anche su temi di elevato spessore intellettuale.
Avevo iniziato la lettura di taluni classici del marxismo indirizzando i miei interessi verso quella nuova concezione del mondo ed era per me motivo di intensa soddisfazione poter frequentare personaggi di quel livello non solo per lo studio dei classici latini ma per sentirmi inserito nella stessa dimensione culturale e umana. Peppino Catte, Gavino Pau e Mario Ciusa Romagna, prestigiosi professori del liceo erano all’epoca tra i dirigenti del PCI a Nuoro e mi lusingava essere da essi considerato quale “compagno”.
Fu così che io ed alcuni coetanei e cari amici fummo letteralmente pervasi da questo genere di interessi ed iniziammo a inserirci nella stessa organizzazione di quel partito giungendo persino a rivestire incarichi di un certo livello. Da segretario della sezione comunista di Nuoro (avevo appena vent’anni quando fui eletto a questa carica) ebbi l’opportunità di fruire dell’esperienza e dei consigli di Peppino Catte, dotato di maggiore esperienza e indubbio equilibrio politico.
Ma doveva giungere il momento nel quale vedemmo insieme come colare a picco quella costruzione: giugno 1956, XX° congresso del PCUS; il compagno Krusciov rivela le nefandezze di quel regime e del compagno Stalin in prima persona! Restammo sgomenti e angosciati e non poteva che essere così, dal momento che avevamo vissuto intensamente nella prospettiva di un mondo nuovo fondato sulla giustizia e la fratellanza fra gli uomini. Ma non potevamo rinunziare al nostro impegno politico: che fare dunque? Quel gruppetto di ex liceali, Peppino Are, Giuseppe Arcadu e il sottoscritto, unitamente al professor Peppino Catte ed altri più giovani tra i quali ricordo il giovanissimo Pasquale Funedda, si erano drammaticamente resi conto che occorreva una revisione profonda di quella ideologia. E il punto di riferimento a cui far capo parve non potesse essere che il partito socialista italiano.
Ma non tutti ciò condivisero tra i dirigenti comunisti nuoresi: come sarebbe andata a finire la imponente struttura organizzativa a livello della quale non era lecito coltivare alcun dubbio e parlare sia pure delle micidiali storture di quel regime? Era certo un doloroso e delicato problema, ma l’atteggiamento più sconsiderato era quello di fingere che niente fosse accaduto e che ogni cosa dovesse andare come prima.
Vi furono riunioni drammatiche all’interno del comitato federale, massimo organo dirigenziale della provincia, che vide quel nostro gruppetto proporre le nuove idee che nascevano dal crollo di quel sistema. Fummo considerati dall’apparato “pericolosi revisionisti”, ma non ci sgomentammo e trovammo punti d’incontro all’interno del PSI al quale finimmo per aderire. Peppino vi trasferì le sue indubbie doti di saggezza e ben presto venne assunto, come meritava, a incarichi nei quali profuse intelligenza ed equilibrio, ma anche il senso pratico che lo contraddistingueva.
La sua morte fu una perdita per la comunità sarda e per i compagni coi quali visse quei drammatici momenti.
Giannetto Soddu è stato avvocato civilista e penalista. Segretario cittadino del PCI fino al 1956, anno in cui uscì da questo partito dopo la pubblicazione nella stampa occidentale del rapporto Kruscëv al XX congresso del PCUS e aderì con altri compagni al PSI.