RICORDO DI PEPPINO CATTE
Ho conosciuto Peppino negli anni del liceo, dove insegnava nella sezione parallela a quella da me frequentata.
Talvolta, quando mancava qualche professore, veniva a fare lezione nella nostra classe e ricordo le sue lezioni che, contrariamente a quanto succedeva con altri supplenti, venivano seguite con attenzione, in religioso silenzio perché riusciva sempre a stimolare la discussione riportando al concreto, alla vita di tutti i giorni qualsiasi argomento trattasse. Godeva, perciò, di grande stima anche da parte di noi studenti.
Finito il liceo, le occasioni di incontro non furono molte. Ci rincontrammo diversi anni dopo, negli anni ‘60, al tempo del Circolo Avanti!, un centro culturale molto vicino alla corrente autonomista del PSI. Da allora inizia una sempre più stretta collaborazione ed é da allora che, per me, la storia politica di Peppino si identifica con quella del socialismo nuorese.
Parlare del Partito significa, perciò, fare un continuo riferimento al suo rigore morale, al suo insegnamento, al suo impegno, al suo concepire la politica come servizio, alla sua fiducia in un futuro migliore.
La storia politica di Peppino, iniziata quando era giovanissimo e a livelli alti, segna una battuta d’arresto nella seconda metà degli anni ‘50.
Alla fine dell’ottobre del 1956 il popolo ungherese insorse per chiedere una nuova costituzione, democrazia ed il diritto all’autodeterminazione. I carri armati sovietici, meno di dieci giorni dopo, normalizzeranno la situazione. Questo avvenimento, che aveva turbato l’opinione pubblica mondiale, non poteva non avere ripercussioni nei partiti comunisti di tutto il mondo e, quindi, anche in Italia.
Un consistente numero di militanti, fra cui Antonio Giolitti, abbandonò il PCI. Anche a Nuoro molti dirigenti comunisti lasciarono il partito: Peppino Catte, Bustianu Dessanay, Basilio Cossu, Giannetto Soddu, Giuseppe Arcadu, Peppino Are, solo per citare i più conosciuti, e tanti giovani della FGCI, fra cui Pasquale Funedda.
Anche il PSI subì le conseguenze della rivolta ungherese: la maggioranza del Partito, seguendo il percorso politico indicato dai congressi di Genova, Torino e Venezia era favorevole ad una svolta revisionista e al dialogo coi cattolici, un’altra parte, minoritaria, sosteneva la necessità dell’alleanza di sinistra.
In Sardegna, nel PSI, prevaleva la corrente di sinistra, quella dei “carristi”, come la si chiamava con chiaro riferimento ai carri armati di Budapest. E prevaleva anche una concezione manichea della politica: i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.
Il vertice del Partito, seppure costituito da compagni singolarmente onesti e democratici, emarginò gli ex PCI, relegandoli in un ghetto politico.
“Senatore boni viri, senatus mala bestia”, dicevano i romani
Il solo Dessanay, che pure aveva guidato assieme ad Achille Prevosto e ad Antonio Francesco Branca l’occupazione delle terre e aveva, per questo motivo, conosciuto il carcere, ottenne, grazie a Giacomo Mancini, l’iscrizione in una sezione romana.
Alcuni compagni, delusi e amareggiati, dopo un po’ di tempo abbandonarono ogni attività politica; altri, i più determinati, cercarono forme alternative di impegno.
A Nuoro si costituirono il Circolo “Avanti!” ed il Cine Club Charlie Chaplin, il primo presieduto dal professor Domenico Ferracciu, figura storica del socialismo nuorese, il secondo da me che muovevo i primi passi nella politica attiva. Di entrambi gli organismi Peppino Catte fu promotore e animatore. Nel “Circolo Avanti!”, frequentato soprattutto da giovani, teneva lezioni sulla storia d’Italia dell’Ottocento e del Novecento, che non si studiava a scuola, e su quella del Partito Socialista e del Movimento operaio.
Questa situazione di notevole impegno civile e culturale ma anche di profondo disagio politico, si protrasse fino al gennaio del 1964, data della scissione nel Partito Socialista e della costituzione del PSIUP.
La scissione era stata, anche in Sardegna, accuratamente preparata.
Con un colpo di mano era stato depennato, all’ultimo momento, il nome di Gonario Pinna dall’elenco dei candidati al Parlamento, pur essendo deputato uscente, e in palese violazione dei deliberati del Partito. L’intera delegazione socialista al Consiglio Comunale di Nuoro era stata sostituita con compagni di provata fede correntizia.
Il gruppo autonomista, che era stato estromesso da ogni attività di partito, e cui era stato impedito qualunque contatto con le sezioni della provincia, ereditò un partito inesistente.
Con la scissione il PSI nuorese perse la sua rappresentanza in Consiglio Regionale, dimezzò il numero dei suoi consiglieri provinciali, ridusse ad un solo rappresentante la sua presenza nel consiglio comunale cittadino, non aveva più rappresentanti nel sindacato.
All’indomani della scissione costituimmo un Comitato di Reggenza formato da Peppino Catte, Giovanni Chironi, Pasquale Funedda, Agostino Golosio, Rino Macciotta, Edgardo Manca, Gavino Murgia, che aveva custodito durante gli anni del fascismo la bandiera della sezione socialista nuorese, e dal sottoscritto ed iniziammo a battere palmo a palmo la provincia per ricostituire il Partito.
Tutte le Federazioni sarde, private dei loro gruppi dirigenti passati al PSIUP, erano state commissariate. Quando arrivò Vittorio Giordano, nominato commissario per Nuoro, e vide quanto avevamo già fatto e quanto stavamo facendo, trasferì la delega al Comitato di Reggenza e rientrò a Roma.
Peppino, pur essendo il riferimento primo di tutto il gruppo, rinunziò alla presidenza del comitato, proponendo Giovanni Chironi, e si dedicò, a tempo pieno, alla ricostituzione del Partito.
Questo gruppo dirigente, nominato dai vertici, cercò e ottenne immediatamente la sua legittimazione nella conferenza organizzativa del Partito, convinti che solo la base del partito può designare i propri dirigenti.
Ricordare oggi, in poche righe, la storia di dieci anni intensi è impresa particolarmente ardua. Ricorderò perciò, solo alcuni momenti, magari quelli meno conosciuti, di quel periodo.
Memori dell’insegnamento di Pietro Nenni, che diceva che i voti si possono anche perdere, ma che si riconquistano solo con una linea politica condivisa e credibile, il gruppo dirigente nuorese operò in questa direzione.
Prima preoccupazione di Peppino fu, infatti, la formazione di una dirigenza che avesse la capacità di elaborare una politica condivisa dall’intero partito.
Era un compito difficile ed ambizioso per noi che ci affacciavamo, senza esperienza, alla politica attiva. Bisognava recuperare la fiducia dei compagni, conoscere le varie realtà e i loro problemi, proporne soluzioni valide e condivise, guadagnare credibilità, dentro e fuori del partito.
Il tutto era poi reso più difficile dalla scarsa disponibilità di tempo di ognuno di noi che consideravamo l’attività politica come una sorta di volontariato.
La determinazione, l’entusiasmo e il continuo impegno per la ricostituzione delle sezioni, andando a trovare i compagni uno per uno, diedero i primi frutti alle elezioni amministrative che si tennero pochi mesi dopo la scissione. Eleggemmo nel consiglio provinciale lo stesso numero di rappresentanti che avevamo prima della scissione, invertimmo i rapporti di forza nel comune capoluogo, ottenemmo in provincia più voti del PSIUP.
All’indomani delle elezioni amministrative del 1964, però affiorarono i primi problemi nella gestione degli enti locali e per la mancanza di una linea politica comune, in particolare di quella urbanistica.
La sinistra aveva vinto le elezioni in tutti i comuni della fascia costiera, da S. Teodoro a Baunei.
Bisognava inventare una strategia che mettesse al riparo i comuni rivieraschi dalla speculazione sulle coste e che, allo stesso tempo, portasse benessere e occupazione.
A uno di questi comuni, a guida socialista, una società straniera aveva proposto la costruzione di un istituto scolastico e una importante somma di danaro in cambio della cessione di una vasta superficie sulla costa che, così dicevano, intendevano valorizzare con la costruzione di ville e di alberghi. Il sindaco, pensando ai benefici immediati da lui ritenuti vantaggiosi, vedeva con simpatia tale proposta .
Un altro comune, anch’esso con sindaco socialista, doveva risolvere l’impopolare problema di una baraccopoli che condizionava lo sviluppo turistico della zona .
Intervenne la Federazione, bloccando la vendita delle aree costiere e, attraverso Italia Nostra, affidando al professor Italo Insolera, urbanista di fama europea, la progettazione di un comprensorio turistico, primo esempio di pianificazione territoriale in Sardegna e uno dei primi in Italia.
L’impegno per la difesa e la pianificazione del territorio, al centro e in periferia, è stata una costante nell’azione dei socialisti.
Nelle elezioni regionali, che si svolsero nel giugno del 1965, i socialisti riconquistarono il seggio alla Regione e Peppino fu eletto consigliere.
Sono anni difficili. La criminalità dilaga; i sequestri di persona si susseguono uno dopo l’altro e quasi non si contano più. Il Partito socialista nuorese organizza un convegno regionale sulla criminalità che si apre con una relazione di Gonario Pinna, i cui contenuti costituiranno materiale prezioso per la Commissione Parlamentare d’inchiesta che sarà costituita qualche tempo dopo.
E poi ancora tanti altri momenti esaltanti e tante delusioni: dall’unificazione socialista, rivelatasi poi solo una burocratica sommatoria di due partiti, all’ amarezza per la nuova scissione, a qualche risultato elettorale deludente, alla difficoltà nei rapporti con i nostri alleati, ai problemi della quotidianità, che mettevano a dura prova il nostro entusiasmo.
Erano esaltanti le campagne elettorali che vedevano impegnati tutti i compagni e nelle quali si ricomponevano le divisioni che, talvolta, nascevano dall’animosità dei congressi. Divisioni che spesso la dirigenza superava facilmente, ma che lasciavano talvolta lacerazioni importanti fra i compagni di base, e che trovavano sempre in Peppino il momento unificante.
Ricordo, sotto la sua guida, l’impegno corale del partito nella campagna per il referendum sul divorzio. Avevamo tutti la certezza di combattere una battaglia di civiltà, coscienti che in seguito tutto sarebbe stato diverso e migliore, orgogliosi di batterci per qualcosa e non per qualcuno, come spesso in politica accade.
Ricordo l’impegno dei compagni di base, della sezione femminile del partito, dei tanti compagni e compagne che diedero vita ai più disparati comitati per offrire una tribuna a quanti non avrebbero potuto far sentire la loro voce.
Ricordo l’ingresso nella Giunta Regionale di Peppino e ricordo il suo impegno, nonostante la sfortuna si fosse accanita contro la sua famiglia, nella strenua difesa delle zone interne, l’impegno per trasformare l’agricoltura isolana, per creare condizioni e strumenti capaci di farla uscire dallo stato primordiale in cui, alla fine del secondo millennio, ancora si trovava.
Ricordo la Legge sulle Intese, che favoriva l’accorpamento fondiario, superando il concetto arcaico della minima unità produttiva.
Ricordo, dopo le conclusioni della Commissione Parlamentare d’inchiesta, il suo impegno per il Piano della pastorizia, una rivoluzione nel mondo agro-pastorale, che doveva trasformare la pastorizia da transumante e stanziale, creando un organico rapporto fra la pastorizia stessa e l’agricoltura con la creazione di infrastrutture territoriali e aziendali.
Per realizzare questi programmi era necessario un vasto consenso che Peppino cercava in ogni comune, in ogni sezione, nelle assemblee che spesso Egli stesso promuoveva.
Lavoratore infaticabile, non si concedeva riposo alcuno. A Nurallao, durante una riunione di partito, il suo fisico cedette, stroncato da un infarto.
Il Partito, nelle elezioni amministrative del 1975, aveva conseguito un lusinghiero successo, registrando risultati mai prima di allora raggiunti. Un successo che per Lui significava solo maggior impegno perché, diceva, non solo andava consolidato, ma doveva costituire la nuova piattaforma da cui ripartire.
Non ebbe il tempo di vedere quali frutti questi risultati avrebbero dato, come non ebbe il tempo di veder realizzato il progetto a cui lavorava.
Quella sera di novembre, Giovanni Chironi ed io eravamo a casa di amici, quando una telefonata di Franco Mannoni ci informò dell’accaduto.
Ci recammo in Piazza S. Giovanni. Assieme a noi arrivarono Badoreddu e Maurizio Catte. Ci chiesero di attendere qualche minuto, prima di salire, perché volevano esser loro ad informare la moglie.
La salma arrivò verso a notte fonda. La piazza S. Giovanni era gremita di compagni che avevano già appreso la notizia.
Maria Teresa ci chiese di non lasciare incompiuta l’opera del marito.
E quella stessa sera, davanti alla salma, a nome di tutto il Partito, chiedemmo a Giovanni Nonne, responsabile regionale del settore agricoltura del partito, di portare a termine l’opera che Peppino aveva lasciato incompiuta.
Il corteo funebre, aperto dalla bandiera della federazione socialista nuorese, mosse dalla sala consiliare del Municipio di Nuoro, dove era stata allestita la camera ardente.
Bustianu Dessanay tenne l’orazione funebre.
Assieme a un incredibile numero di compagni, di tutte le sezioni, parteciparono ai funerali tantissimi giovani, quelli delle lotte studentesche, che erano stati sostenuti nelle loro rivendicazioni da Peppino, portando le bandiere dei loro movimenti, consapevoli di aver perso un importante riferimento politico e culturale. Antonio Corriga, che di Peppino era stato un caro amico, volle immortalare in un celebre quadro la testimonianza di affetto di questi giovani. Ricordo una folla immensa e una marea infinita di bandiere rosse. Fra le tante, a fianco del carro funebre, vi era anche quella della federazione comunista.
Forse un riconoscimento postumo della grandezza dell’Uomo.